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Pania d’inverno (dalla Pania con furore)

    Sono finalmente salito alla Pania della Croce (1858 m.) d’inverno: è stata un’avventura non da poco che meriterebbe un racconto dettagliato e carico di suggestioni. Purtroppo non ne ho il tempo, quindi mi limito a questo breve dispaccio.

    Io e un amico (in verità uno che vedevo per la seconda volta, e per la prima volta in montagna) abbiamo raggiunto prestissimo il rifugio del Freo, da cui ci siamo avviati verso la vetta lungo la “via normale” del versante nord-ovest.

    Dopo aver tanto sentito parlare della “vetrata” delle Apuane, domenica ne ho avuto un degno assaggio: neve trasformata come non mi sarei aspettato, uno strato di ghiaccio dalle pendici alla vetta, con pendenze intorno ai 45-50°.

    Arrivati a metà salita il tempo è cambiato radicalmente: in un attimo, dal cielo azzurro siamo passati a nuvoloni bassi e densi che ci hanno avvolto praticamente per tutto il resto della giornata. Ci siamo fermati indecisi sul da farsi, finchè due alpinisti veri hanno raggiunto noi conigli e ci hanno rassicurato, prima di proseguire per l’ancor più ripida variante “Pisa”. Delle cinque persone che abbiamo incontrato sulla Pania, questi due sono gli unici ad esser saliti da Mosceta oltre a noi, domenica.

    Salendo verso la cresta, un rampone mi si sgancia due volte. Lo rimetto, smadonnando e sudando freddo, assicurato precariamente alla picca.

    Una volta in cresta appuriamo che, se salire da Mosceta (cioè dal Freo) era stato un azzardo, riscendere da quel lato sarebbe stato un suicidio. Quindi scendiamo dall’altro versante fino al rifugio Rossi: il percorso, sempre impegnativo, dopo il versante nordovest ci sembra quasi rilassante.

    Avevamo lasciato l’auto all’Antro del Corchia, convinti che avremmo potuto raggiungerla facilmente scendendo per la stessa via della salita. Per tornarci, invece, non abbiamo potuto fare altro che passare per il canalone di Borra di Canale, racchiuso tra due pareti di calcare verticale, girando poi tutt’intorno al Pizzo delle Saette ed alla Pania per tornare con un lungo anello al rifugio del Freo. Da qui siamo tornati al Corchia per il Passo degli Alpini.

    Tutto questo quando il sole era ormai tramontato da un pezzo.

    Abbiamo raggiunto l’auto alle 20, brancolando nella nebbia notturna alla luce delle lampade frontali.

    Roba da chiodi. Col cavolo che ci torno! …Almeno, non senza un paio di scarponi seri. In verità è stato senz’altro avventato e pericoloso da parte nostra; d’altra parte ricordo ben poche ascensioni così belle ed emozionanti.