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Mein Fahrrad

    Pisa, dove studio, è una piccola città, e la sua viabilità è nota per essere ai limiti dell’assurdo.

    A volte ho provato a muovermi nel centro in Vespa: sono più rapido delle automobili, ma impiego comunque più tempo che a muovermi in bici. Così, ogni mattina, per dirigermi verso il laboratorio o la facoltà, inforco la bicicletta.

    In quanto studente universitario, ho la fortuna di non dovermi piegare a levate antelucane: normalmente mi muovo tra le otto e mezza e le nove e mezza. A quanto pare questo è un orario critico per un sacco di gente: tutte le mattine incappo nella solita, pressoché ininterrotta e pressoché immobile colonna di auto; tutte le mattine mi sorbisco i loro gas di scarico.

    Nonostante questo, mentre pedalo, il mio sorriso si ferma appena al di sotto delle orecchie: è il marchio del ciclista gaudente che scivola agile attraverso gli ingorghi; è il segno del potere della bicicletta, che permette di sfrecciare nelle ZTL, imboccare sensi unici contromano senz’ombra di sensi di colpa, volare attraverso il centro in piedi sui pedali… Dove gli automobilisti non possono sognare di arrivare.

    Ogni giorno, superando la solita fila delle solite auto a passo d’uomo con il solito (minimo) numero di passeggeri, cerco di figurarmi quali possano essere i pensieri degli automobilisti. Si accorgeranno del ciclista (sempre lo stesso) che ogni mattina li sorpassa senza nemmeno provare a mascherare la propria soddisfazione?

    Si limiteranno a mormorare qualche imprecazione tra i denti? Oppure a qualcuno sorgerà il dubbio che, forse, l’idea di andare in ufficio in bici non è proprio da buttar via?

    Io continuo a muovermi sui miei pedali, a sfrecciare pericolosamente tra i pedoni, ad arrivare in facoltà col fiatone e il sangue che tira.

    Tra i denti non mormoro imprecazioni, ma canzoni allegre: ad esempio “Mein Fahrrad” (La mia bicicletta), inno al ciclismo urbano dei tedeschi Die Prinzen.